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Vaccini COVID 19 in gravidanza

Vaccini COVID 19 in gravidanza

La gravidanza è da sempre considerata una fase estremamente delicata e solitamente vige la massima cautela nella somministrazione di qualsiasi farmaco, prevalentemente a causa del suo passaggio transplacentare e della estrema suscettibilità del feto ai vari principi attivi chimici, soprattutto durante il primo trimestre.

Colpisce quindi, o meglio preoccupa, la facilità con la quale i vaccini per la COVID 19 non solo siano stati frettolosamente dichiarati sicuri in gravidanza, incluso il delicato primo trimestre, ma addirittura siano stati consigliati alle donne gravide in quanto ritenute dei soggetti fragili.

Tale raccomandazione si è basata su dati raccolti dal Center for Disease Control and Prevention (CDC) che hanno evidenziato un rischio maggiore per le donne gravide infettate da SARS-COV-2 di essere ricoverate in terapia intensiva e di ricevere ventilazione invasiva o ossigenazione extracorporea a membrana, e addirittura di exitus, rispetto alle donne infettate da SARS-COV-2 non gravide (Zambrano et al, 2020).

Conclusioni simili venivano raggiunte in una revisione e meta-analisi sistematica della letteratura, in aggiunta ad un maggiore rischio di parto pre-termine e di ricovero neonatale nelle donne gravide con malattia COVID-19, rispetto a quelle senza (Allotey et al, 2020).

Uno dei primi studi a sostegno della raccomandazione della vaccinazione per COVID-19 in gravidanza è stato il lavoro di Shimabukuro et al, pubblicato lo scorso giugno 2021 sul New England Journal of Medicine (Shimabukuro et al, 2021). Tuttavia Sun H. (2021) ha fatto subito notare vari problemi metodologici: in 700 su 827 (84.6%) gravidanze a termine la prima dose di vaccino era stata somministrata nel terzo trimestre di gravidanza e pertanto tali donne dovevano essere escluse dall’analisi dell’incidenza di aborto spontaneo, che per definizione avviene entro le prime 20 settimane di gravidanza. Di conseguenza, la percentuale dei 140 aborti spontanei osservati tra le donne vaccinate nel primo trimestre di gravidanza saliva addirittura all’82%.

Shimabukuro et al. hanno dovuto aggiornare i loro calcoli in una successiva correzione del lavoro.

Anche altri studi usciti a supporto della sicurezza del vaccino mRNA in gravidanza (Kharbanda et al. 2021, Kachikis et al. 2021, Zauche et al. 2021) sono di qualità discutibile (v. Cap. 4), in quanto basati su registri auto-compilati dai pazienti o interviste telefoniche piuttosto che su pazienti reclutati di persona, su un sistema di sorveglianza passiva e non attiva, con gruppi di controllo inesistenti o non ideali (storici, basati sui dati presenti nella letteratura pre-COVID-19). Kharabanda et al. si sono avvalsi di un disegno caso-controllo tuttavia hanno scelto di confrontare la prevalenza di vaccinazione tra gravidanze a termine e aborti spontanei, invece di confrontare l’incidenza di aborto spontaneo tra donne vaccinate e non (calcolando la probabilità inversa rispetto a quella di reale interesse, v. sez. 5).

Questo fatto spiega il proliferare di commenti e critiche a tali lavori, e sottolinea quanto sarebbe fondamentale uno studio osservazionale, meglio se prospettico, che segua le donne gravide per tutta la durata della gestazione e che confronti minuziosamente il braccio di donne vaccinate con quello di donne non vaccinate, riportando i dati di tutti gli outcomes di gravidanza più importanti, ovviamente corretti per i vari fattori confondenti.

Inoltre, in aggiunta all’analisi di possibili effetti avversi della vaccinazione in gravidanza, sarebbe utile realizzare degli studi dove effettivamente si valuti l’efficacia vaccinale in donne gravide affette da SARS-CoV-2, confrontando quelle vaccinate con quelle non vaccinate.

Di fatto, le donne che hanno acconsentito e stanno acconsentendo alla vaccinazione finora, lo stanno facendo senza un’adeguata informazione sui rischi e i benefici reali di tale profilassi.

Un recente studio ha evidenziato un’incidenza di varie complicanze della gravidanza durante la pandemia COVID-19 non superiore a quella dell’epoca pre-COVID-19, con un tasso equiparabile tra donne positive e negative per SARS-CoV-2 (Son et al, 2021).

Nessuno studio è ancora in grado di rispondere ad un quesito fondamentale:

i vaccini per COVID-19, specialmente se somministrati nel primo trimestre di gravidanza, hanno effetti avversi sulla prole, evidenziabili sia nel post-partum che nel medio-lungo termine?

La storia della medicina purtroppo insegna che ci vogliono anni per evidenziare suddetti effetti, come nella triste e nota vicenda della cancerogenicità del Dietilstilbestrolo (DES) o della teratogenicità della Talidomide (Contergan) con esiti disastrosi (v. ad es. Kim and Scialli, 2011).

La sentenza Contergan (Landesgericht (LG) Aachen, 18. 12. 1970 – 4 KMs 1/68, 15 – 115/67: Juristische Zeitung: 516) ha introdotto la responsabilità oggettiva e il principio di precauzione in ambito farmaceutico (Osimani, 2013).

Successivamente è stato introdotto l’obbligo di sperimentare ogni nuovo farmaco in animali gravidi prima di stabilirne l’uso sicuro in gravidanza, e di realizzare degli studi controllati nelle donne gravide prima di procedere alla fase di post-marketing nella popolazione generale.

Non risulta che per i vaccini COVID-19 siano stati effettuati studi di teratogenicità in vivo (cioè su animali) o clinici.

Per rendere l’idea della complessità della rilevazione dei rischi di teratogenicità dei farmaci, anche anni dopo la messa in circolazione della molecola, valga l’esempio di uno degli analgesici più usati negli ultimi decenni.

Il paracetamolo, uno dei pochissimi farmaci il cui uso da decenni era ritenuto sicuro in gravidanza, è stato messo in relazione con possibili effetti avversi di vario genere sulla prole, soprattutto a medio-lungo termine e quindi evidenziabili solo dopo molti anni di osservazione (Bauer et al, 2021).

Non dimentichiamo inoltre, che in questa valutazione rischio-beneficio, già sfavorevole alla vaccinazione in base a quanto appena detto, va tenuto conto del fatto che gli attuali vaccini per COVID 19 non sono sterilizzanti e sembrano avere un’efficacia di breve durata.

Pertanto a fronte di un beneficio incerto e transitorio, si esporrebbe la donna e la prole ai rischi considerevoli potenzialmente associati alla vaccinazione.

Sono state sollevate perplessità sui possibili effetti dei vaccini per COVID-19 anche sulla fertilità.

Nella pratica clinica quotidiana molte donne hanno riferito alterazioni dei cicli mestruali a seguito della vaccinazione per COVID-19, per lo più transitorie. Per questo motivo sono in corso degli studi per valutare possibili correlazioni reali e meccanismi patogenetici (NIH, 2021).

Similmente alla gravidanza, data l’assenza di tali dati e il decorso sostanzialmente benigno dell’infezione con SARS-CoV-2 e della malattia COVID-19 nella stragrande maggioranza di donne in età fertile, prima di imporre la vaccinazione per COVID-19 a giovani donne, adolescenti o bambine (obbligo vaccinale o green pass, a seconda delle categorie lavorative e all’età) sarebbe auspicabile attendere la conclusione di tali studi.

È ormai noto che la proteina spike è dotata di attività biologica intrinseca, che viene espletata in larga parte attraverso l’interazione con il suo recettore ACE2. Tale recettore è espresso ubiquitariamente nel corpo umano, a livello medio-elevato nelle ovaie e a livello molto elevato nei testicoli (Li et al, 2020; Lazartigues et al, 2020), pertanto prima di definire questi vaccini sicuri per giovani individui in età fertile (di ambo i sessi) andrebbero attentamente indagati i potenziali effetti d’organo dovuti all’interazione della proteina spike con tale recettore.

A conferma dei possibili rischi sulla gravidanza e teratogenicità di questi vaccini, valgano i criteri di inclusione e esclusione per il clinical trial MOSAIC (identifier NCT04894435), che intende valutare la sicurezza e l’efficacia di immunizzazione dei protocolli di vaccinazione mista (con vaccini Pfizer, Moderna e Astrazeneca) e con combinazioni e tempistiche di somministrazione variate. In questo studio sono ammesse donne e uomini fertili che adotteranno misure anticoncezionali nei 30 giorni precedenti e nei tre mesi successivi alle iniezioni, mentre sono escluse le donne in gravidanza, che allattano o che intendano avere una gravidanza entro tre mesi dall’ultima vaccinazione. Ciò suggerisce che gli autori del clinical trial hanno timori su possibili effetti avversi a carico del feto.

Fonte: Co_META

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