Tutto serve…
Aprendo una pagina a caso, leggo:
Non adoperarti perché gli avvenimenti vadano come vuoi, ma desidera piuttosto che essi si svolgano come viene, e vivrai sereno.
Scorrendo a ritroso:
Non sono le cose a turbare gli uomini, ma i giudizi sulle cose. Per esempio, la morte non è affatto terribile – altrimenti così sarebbe apparsa anche a Socrate -, ma il giudizio sulla morte, e cioè che sia terribile, ecco quel che è terribile. Quando dunque siamo ostacolati, o turbati, o soffriamo, non accusiamo mai nessun altro se non noi stessi, ovvero i nostri giudizi. È proprio di chi è ignaro di filosofia accusare gli altri delle proprie disgrazie; è proprio invece di chi ha cominciato a istruirsi accusare se stesso; è proprio infine di chi si è educato nella filosofia non accusare né altri né se stesso.
Si tratta di Epitteto, filosofo stoico del primo secolo dopo Cristo (circa).
Lo stoicismo in sé non mi ha conquistato: non penso che tutto sia riconducibile alla ragione.
Non amo l’idea che sia tutto predeterminato e a noi non resti che allenare la volontà affinché restiamo lontani da quanto ci separa dalla virtù, ossia l’accettazione piena del destino in assenza di emozioni (estranee alla ragione).
Non mi piacciono l’idea del destino, né l’apatia…
Eppure, contestualizzando i concetti all’interno del mio modo di percepire la realtà, trovo che restino di grande ispirazione.
La vita è un insieme di esperienze.
Alcune le cerco, altre mi capitano.
Non ho controllo sul loro esito, tuttavia qualunque esito è fra quelli possibili.
Il fatto che un esito si manifesti, è prova che rientri fra i possibili.
Non esiste la sfortuna, ma nemmeno la fortuna: esistono le possibilità, alcune percepite come buone per me (quindi fortunate), altre meno buone (quindi sfortunate).
Fortuna e sfortuna sono concetti soggettivi, dipendenti da fattori più che altro culturali.
Posso decidere di leggere la realtà senza dividere fra eventi fortunati ed eventi sfortunati, fermandomi unicamente su ogni singolo evento.
La mia capacità di assaporare pienamente l’esperienza sta nell’accettare (che non è rassegnarsi) ciò che capita, prestando attenzione ai sentimenti che mi scatena. Quali hanno origine culturale e quali sono miei a prescindere?
Questo è l’allenamento: portarmi fuori dalle sovrastrutture con cui ho imparato ad osservare me e il mondo, ricondurmi dentro all’esperienza per quel che è, sentendola e riconoscendomi parte di qualcosa in movimento.
La magia è questa: riconoscermi parte di un processo in movimento.
Il movimento porta inevitabilmente cambiamento.
A questo punto non posso che riscoprire quanto sia io e soltanto io protagonista indiscussa di ciò che vivo: spetta a me decidere come muovere il cambiamento. Che significato voglio assegnare all’accaduto? Quale passo successivo voglio compiere o non compiere?
Ecco che ogni esperienza ha valore in sé, ma soprattutto in me: vale perché io la sperimento e sperimentandola ho l’occasione di evolvere.
Tutto serve, non perché qualcuno oltre me abbia stabilito così.
Tutto serve perché è così che ho deciso di approcciare alle cose.
Questa è una riflessione scaturita da un fervido scambio in chat con i partecipanti al Gruppo AMA Luttoperinatale.life, che ringrazio infinitamente per il prezioso dono che mi fanno, condividendo con me parti tanto intime di loro.
Tutto serve... Pubblicato per la prima volta il 16 aprile 2022