Sul senso di inadeguatezza
…e dopo il senso si colpa, innato e presente in ognuno di noi, esseri finiti che tendono all’infinito (senza riuscirci ed ecco il senso di colpa), a stretto giro compare l’inadeguatezza, che talvolta si traduce in isolamento, altre volte in prevaricazione.
Ne parlavo a pranzo con le mie ragazze, quando la grande ne approfitta e mi chiede:
«Ma secondo te, perché se a tutti capita di percepire sensazioni simili, comunque non riusciamo a comprenderci davvero? Perché questo senso di costante isolamento e incomprensione? È innato anche questo?»
Avrei potuto azzardare con la faccenda dell’empatia e tutto il circondario, tuttavia si tratta di una fase successiva, ho preferito partire dagli albori…
Succede che ogni teorizzazione su ciò che siamo e perché lo siamo, manchi sempre di un pezzo: da quando la filosofia si è scissa in altre discipline, alcune delle quali si considerano persino scienze perfette e infallibili, l’essere umano si è trasformato in una macchina da vivisezionare, così mettiamo a fuoco il foruncolo, ma non ci interessa considerare la pelle su cui sorge, poi il corpo che ricopre e lo spirito che lo muove.
Perciò torniamo a noi: perché ci sentiamo isolati? Disconnessi dalla nostra comunità? Incapaci di comprendere veramente gli altri? È innata questa individualità spiccata?
A prescindere dal momento contingente, che accentua una condizione preesistente.
«Pensa al contesto in cui nasciamo e cosa succede quando veniamo al mondo…
Veniamo tirati fuori dalla pancia di nostra madre e, sostanzialmente, abbandonati.
Restiamo in cullette a schiera ad urlare finché non abbiamo più fiato in gola.
Poi smettiamo, ovvio. Ed ecco che ci hanno ‘educato’, addomesticato in realtà.
Ma se guardiamo le comunità primitive, per esempio quella del Venezuela che analizza la Liedloff, succede che i bambini restano addosso ai genitori da subito e finché non decidono di scendere.
Loro non sono estranei alla loro comunità e la loro comunità non li considera esseri da addomesticare.
Semplicemente vivono insieme. Non c’è separazione. Nel vivere insieme si acquisisce quella che definirei ‘coscienza collettiva’. Cioè, si sa, si avverte, si conosce, si ‘sente’ l’altro, come l’altro ‘sente’ noi.
Nella nostra evoluta parte di mondo, oltre ad essere abbandonati, veniamo spronati ad eccellere a competere, ad isolarci, sostanzialmente.
Quindi no, questa nostra perenne sensazione di estraneità – secondo me – è figlia del nostro tempo e della nostra cultura (secolare).»
Oggi dobbiamo insegnare l’empatia.
La dobbiamo definire, spiegare e inventarci laboratori in cui sperimentarla.
Cioè, prima rendiamo menomati i nostri cuccioli, quando crescono ci stupiamo della menomazione, infine ci lambicchiamo il cervello con teorie che divengono scienza, per inquadrare a peso d’oro, processi costellati di termini complicati, invece di porci una semplice domanda: quanto siamo stronzi?
Sul senso di inadeguatezza
Pubblicato per la prima volta il 6 aprile 2021