accompagno le persone attraverso il lutto perinatale e il lutto

Ogni dolore è grande…

Ogni dolore è grande, per chi lo patisce.

«Quando è morto il mio cane sono stato malissimo. Non sono uno che piange, ma proprio non riuscivo a fermarmi davanti a nessuno: amici, clienti… Un fiume in piena! Quasi 18 anni. Abbiamo dovuto riprogrammare tutti i nostri ritmi… Però non è certo come la morte di un figlio eh!»

«Perché ci tieni a sottolinearlo?»

«Non vorrei mai che qualcuno se la prendesse a male. Era il mio cane e ho sofferto tantissimo. Ma non è come se fosse morto un figlio. Sai magari ti trovi uno a cui è morto un figlio grande…»

«Perché, se invece gli fosse morto piccolo sarebbe stato meglio?»

«Ma no…»

«Magari invece è morto il coniuge: marito batte mamma, ma zio batte nipote? Ecco, non capisco la mania di fare paragoni.

Ognuno ha il suo dolore e basta.»

«Sì, è vero, però magari uno si offende…»

«Beh, che si offenda… perché dovrebbe paragonarsi a te?

Ognuno è unico, con la sua storia, le sue pene e i suoi amori perduti. Fra i tuoi amori perduti c’è il tuo cane, che è vissuto con te più di 17 anni. Quando è morto lo hai pianto, come si piangono gli amori che muoiono.»

C’è questa mania di valutare il dolore secondo una scala graduata che non tiene conto dell’entità, piuttosto si sofferma unicamente sulla fonte.

Abbiamo deciso che un figlio morto provoca più dolore di qualunque altra persona. Perché chi ha sperimentato varie assenze riferisce che quella del figlio sia la più difficile da vivere.

Ma chi figli non ne ha? O figli non ne ha perduti?

Costui ti deve credere sulla parola e sentirsi sempre un passo indietro a te: non raggiungerà mai lo stesso tuo diritto di sentirsi dolente, eppure soffre. Tremendamente.

Ogni dolore è grande, per chi lo patisce. Ognuno di noi ha la sua personale scala di valori, costruita cammin facendo, di dolore in dolore.

Accade spesso che il nostro dolore sia riconosciuto pienamente da chi ne ha vissuto uno simile, mentre gli altri fatichino a comprendere. Perché?

Perché nel racconto dell’altro riemerge il nostro dolore. Allora noi riconosciamo il nostro, non la pena altrui. Così ci siamo sempre noi, protagonisti delle storie, persino quelle che non ci appartengono.

Ascoltare l’altro significa sentire la sua pena, a prescindere da noi. E forse non comprenderla: non importa. Ciò che conta è rispettarla e restituirle valore. Fare in modo che l’altro non si senta in dovere di svalutare la sua sofferenza, per non farci un torto.

Ci sono momenti in cui il nostro dolore è talmente totalizzante che quello altrui non trova posto. Allora sarebbe bene dirlo, sinceramente. Accade e fa parte del processo.

Sarebbe bene dirlo prima che la rabbia abbia il sopravvento e senza trovare giustificazioni insensate: non si tratta di stabilire quale dei dolori abbia più ragione d’avere spazio. Si tratta di rispettare la capacità di ognuno di farsi carico anche della pena altrui.

Quando un amore finisce, fa male.

Questo è.

Qualunque forma abbia avuto quell’amore.

Ogni dolore è grande, per chi lo patisce.

Pubblicato per la prima volta l'11 gennaio 2023

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