Non lascio mai un dolore senza titolo
prima di tutto
guardo il dolore da molto vicino,
faccio lente d’ingrandimento sui lividi
ripercorro con la carezza dell’indice
tutta la pelle sbattuta,
salvo quel giorno a impegni di memoria
ripesco il momento
ne studio il movente,
se ci arrivo con la bocca
poggio un bacio
non lascio mai un dolore senza titolo
senza trama, senza storia,
perché i dolori che non hanno un diario
vagano nei respiri fino a diventare ansia,
si insinuano nel sangue fino
a sbranarsi le vitamine buone
e poi diventano noi,
tutti i dolori che non ricordiamo
diventano noi
in fine
guardo il dolore da molto lontano
salgo una montagna e siedo la vetta
e osservo che tutto il guaio che sento dentro
è solo un puntino minuscolo
dall’alto di questa vita immensa.
[gio evan]
Il dolore è spesso raccontato come un’entità antropomorfa che prende residenza nelle nostre vite e le dirige al di là del nostro volere.
Noi, passivi, restiamo intrappolati fra le sue grinfie, condannati a trascinarci senza rimedio.
I versi di Gion Evan evocano invece uno scenario diverso.
Il dolore può essere osservato da vicino, senza paura; ha una forma che non è antropomorfa: sono lividi. Cioè, si imprime su di noi con segni specifici e circoscritti; essi ci appartengono e, ancora senza paura, possiamo accarezzarli, toccarli, avvicinarci: sono nostri.
Il dolore ha un’origine, viene da qualcosa di specifico, non si tratta di un’entità che permea il tempo e lo spazio nel suo insieme. Anziché provare rabbia, risentimento e disgusto per il male che ci ha raggiunto, una volta individuato, possiamo accoglierlo con dolcezza: è nostro, agisce su di noi, raccontandoci qualcosa.
Il dolore è il segnale, l’incipit di una storia, alla quale possiamo assegnare un titolo e una trama, perché quando il dolore non è narrato, allora si insinua, fin nel profondo e scava in noi anche dove non vediamo. Letteralmente incide sulla nostra salute… fino a cancellare il confine tra noi e quell’allarme inascoltato. Noi diveniamo dolore per intero.
Così, dopo averlo osservato molto da vicino ed averlo accolto nella sua interezza, circoscrivendone il confine, possiamo allontanarcene. Certo non è una passeggiata! Si tratta di salire la montagna per poi concederci di sederci, una volta raggiunta la vetta. Mentre noi allarghiamo lo sguardo, lui si rimpicciolisce. Da lassù possiamo vedere quei lividi e anche tutto il resto. Possiamo accorgerci che questa parte che duole non è tutto, c’è altro a ridimensionare la prospettiva.
Non lascio mai un dolore senza titolo
Pubblicato per la prima volta il 17 settembre 2024