Finché li chiameremo “Mai nati” e finché diremo che di loro ci è stato sottratto il futuro immaginato, ma non il presente esperito, continueremo a lanciare il sasso e nascondere la mano.
Vogliamo che la cultura cambi, senza cambiare la cultura.
“Mai nati”: si chiamano così i bambini partoriti prima delle 28 settimane di gestazione.
Partoriti. Esattamente partoriti.
Partorire è un verbo che deriva dal latino Parturire (portare al di là) e significa Dare alla luce, Generare, Produrre.
È noto che le gestanti partoriscano ogni volta che il figlio in grembo fuoriesce da loro. Superate le 28 settimane di gestazione non si compiono più distinzioni di sorta: è partorito il figlio nato vivo, nato morto, nato vivo da taglio cesareo, nato morto da taglio cesareo.
Prima delle 28 settimane si chiama espulsione, revisione della cavità uterina, raschiamento, ma non parto.
Dato che non è stato partorito nessuno, non è nato nessuno, eppure siamo in presenza di un corpo e di un vuoto. Siamo spesso davanti ad un dolore enorme che con fatica chiamiamo lutto: meglio lutto perinatale, che è un lutto, ma un lutto un po’ diverso. L’unico lutto che vuole un aggettivo per essere definito, come se senza quell’aggettivo non fosse comprensibile.
L’unico lutto che spesso non ha cordoglio. L’unico lutto che spesso non ha accesso ai riti. Eppure sappiamo quanto i riti siano essenziali per noi esseri umani: noi che dal paleolitico seppelliamo i nostri morti.
I riti e il cordoglio (quindi la condivisione e socializzazione del dolore causato dalla morte) sono talmente importanti per noi esseri umani che i genitori dei “Mai nati” si sono dovuti inventare dei riti a parte e un modo di condividere e socializzare il loro dolore a parte: ecco che è nato e si è diffuso il Baby Loss.
Timidamente alcune amministrazioni raccolgono le richieste dei genitori e cominciano a mettere a disposizione spazi in cui seppellire i “Mai nati”, continuando a chiamarli “Mai nati”.
Rendono obbligatorio per il servizio sanitario di informare i genitori della possibilità di seppellire i loro figli.
La polemica si alza: questo è un lutto che vive una contraddizione interna dai toni parecchio accesi.
Coloro che il lutto non lo avvertono, non lo concepiscono, non lo ritengono reale, poiché non si può parlare di VITA prima di una certa epoca gestazionale e si ha l’impressione che possa essere leso il diritto delle donne di decidere della loro gravidanza e del loro corpo (diritto che effettivamente è spesso leso).
Coloro che ritengono che VITA sia qualunque cosa che abbia un cuore che batte e meriti di essere salvaguardata sempre, comunque e a qualunque costo.
Il lutto non è una battaglia fra chi protegge il diritto delle donne di abortire e chi lo vorrebbe abolito.
Il lutto, questo lutto come qualunque altro lutto, non bada alla politica, alle ideologie, ai numeri, alla quantità di cellule, al tempo condiviso, alle aspettative… Questo lutto, come qualunque altro lutto, bada solo alle emozioni. Perché il lutto è un complesso, articolato e spesso misterioso mix di emozioni differenti.
Ci sono persone che soffrono il lutto per la perdita del loro bambino e ci sono persone che non soffrono il lutto per la conclusione della loro gravidanza.
Ognuna di queste persone userà termini differenti per narrare a se stessa la sua storia, farci i conti e trovare la via per superare quello che resta comunque un passaggio della sua esistenza.
Le parole tracciano i contorni di quanto è accaduto, esse rispondono ad un bisogno di realtà e verità che è sempre soggettivo e non giudicabile.
C’è bisogno di percorsi rispettosi di ogni verità.
Alcuni di noi hanno bisogno di dirsi genitori per potersi scoprire prima con un figlio e poi senza, fino ad avvertire il dolore che si sente come normale conseguenza della morte di qualcuno che prima è esistito e poi non più.
In questo caso il “Mai nato” non solo è una definizione errata, è anche una definizione che non risponde al nostro bisogno.
Definendo finalmente Nato il bambino perduto, è anche possibile compiere un ulteriore passo, doveroso, a questo punto: come qualunque altro lutto, questo lutto patisce il dolore di non poter più includere la persona morta nel proprio futuro immaginato.
Ciò che più addolora quando qualcuno dei nostri cari muore, è sapere che qualunque cosa accadrà di lì in avanti, noi non potremo mai più condividerla con lui. Il futuro insieme è terminato.
Ma…
Abbiamo un passato. Il passato resta. Il passato rappresenta il nostro patrimonio costruito insieme.
I bambini Nati, sono bambini che hanno avuto almeno una vita intrauterina condivisa coi loro genitori.
Ci sono famiglie che stringono relazioni coi loro figli fin da prima del loro concepimento e non sono relazioni immaginate, sono relazioni reali, capaci di gettare le basi per un buon rapporto e una crescita della famiglia nella sua interezza. Sono relazioni ormai considerate alla base del benessere, non solo del figlio, ma anche dei genitori, quindi della famiglia nel suo complesso.
Quando si parla di “prevenzione precoce e primaria della salute bio-psico-sociale della famiglia” si intende lavorare proprio sulla relazione familiare fin da prima del concepimento. Quella relazione È già presente, È già storia, È già la narrazione di quella famiglia.
Fare finta che non sia mai esista, sminuire la sua entità, ridurla ad una cozzaglia di sogni infranti non è accettabile.
Ancor meno accettabile è ridurre a nulla uno scambio avvenuto nel tempo (che sia poco o tanto non fa alcuna differenza) con un elemento che ha fatto parte della famiglia e che È stato presente, con le sue esigenze, i bisogni, il suo patrimonio genetico e non solo, dentro il corpo della madre e di riflesso nella vita del padre. Quando questa vita intrauterina si interrompe è una morte. La morte produce un cadavere. La morte produce sentimenti. Quando questi sentimenti sono di lutto, chi li esperisce ha diritto di usare le parole più realistiche e veritiere per poter agevolare il suo percorso di accettazione e trasformazione.
Smettiamola con le mezze verità, molti di noi hanno una sola verità: hanno perso un figlio. Lo hanno partorito. Hanno collezionato ricordi che hanno bisogno di condividere. Hanno un dolore enorme da socializzare. Hanno bisogno di una tomba su cui piangere. Hanno bisogno di sentirsi normali.
Normali genitori di figli morti.
Finché li chiameremo Mai nati
Pubblicato per la prima volta il 18 giugno 2018