accompagno le persone attraverso il lutto perinatale e il lutto

È un dolore che non passerà mai?

È un dolore che non passerà mai

Lo sento dire spesso, come una promessa, una rassicurazione… una condanna.

Tranquilli, la vita va avanti: impareremo a stare e portare questo peso, ci abitueremo, ad un certo punto sorrideremo di nuovo, qualche volta persino sembrerà di gioire, ma in fondo questo dolore non sparirà, perché non dimenticheremo mai, perché non c’è rimedio.

È vero, alla fine (che sia dovuta alla morte o all’assenza di qualcuno che amiamo) non c’è rimedio.

Il dolore non è provocato dalla morte in sé, bensì dall’impatto che essa ha su di noi. Ci sono morti che lacerano più di altre, assenze pesanti come macigni, altre meno.

Il dolore è un segnale: quando proviamo male il nostro corpo ci avvisa che qualcosa non va, sta a noi individuare la sorgente e mettere in atto tutto ciò che occorre per ‘riparare’ la lesione.

È facile quando la ferita è visibile, come un taglio o un osso rotto, più difficile quando lo squarcio è nel cuore (nell’anima).

La dipartita di un amore provoca il dissesto più o meno profondo del nostro equilibrio. È come se l’assetto dei vari legami e le diverse reti che ci dicono chi siamo, cosa facciamo e perché lo facciamo, subissero strappi, distorsioni, manomissioni. Ecco che ci sentiamo fragili, disorientati, spaventati, increduli, smarriti, insicuri… Siamo in pericolo, perciò il nostro sistema fa scattare l’allarme inviandoci segnali dolorosi.

Ci fa male il corpo, possiamo sentire un perso sul petto, fitte al cuore, ma anche dolori in altre parti.

Tutto invita a fermarci, prestare attenzione e prenderci cura di noi.

Tutta la nostra storia, il nostro posto nel mondo, l’idea che abbiamo di noi, il ruolo che rivestiamo nei vari ambiti che compongono la nostra rete relazionale, i progetti dell’immediato e che avevamo per il futuro… tutto va ripensato, rimodulato, riassestato. Un po’ alla volta, senza fretta.

Man mano che procediamo in questo lavoro (il lavoro del lutto), scopriamo cose, prendiamo decisioni, scegliamo strade, ci prendiamo cura della nostra persona e di tutte le parti che ci rendono ciò che siamo.

Servono indulgenza, pazienza, fiducia, affetto, costanza, gentilezza.

Alcuni strappi possono essere ricuciti, altri devono essere recisi del tutto e orlati. Vedremo impunture che prima non c’erano.

Più il nostro nuovo abito sarà su misura, più il dolore cesserà di pulsare. Ad un certo punto potrà persino smettere di far parte del nostro quotidiano. Perché non è il dolore a dire da dove veniamo, né a dare la misura della grandezza del nostro amore.

Da dove veniamo lo diranno le cuciture… cioè il modo in cui decideremo di proseguire: con quale atteggiamento, con chi, facendo cosa, impegnandoci qui piuttosto che lì, ecc.

Il fatto che sia uso comune dire: «È un dolore che non passerà mai», provoca almeno due esiti:

1. non ci si concede di pensarsi al di là del dolore;

2. contagio. Visto che lo dicono tutti i luttuanti, allora sarà vero, perciò posso sentirmi ‘normale’ e ‘giusto’ se anche io mi tengo questa sofferenza.

Il mio invito?

  • Smettere di dirsi che questo dolore non cesserà mai. Il solo fatto di stabilire che non ci sia la possibilità di vivere senza dolore rende questa opzione non solo remota, ma proprio impossibile.
  • Smettere di credere che la grandezza di un amore ‘perduto’ si misuri in dolore.
  • Smettere di credere che senza dolore allora sopraggiungerà l’oblio: un grande amore non si dimentica MAI.
  • Smettere di dare al dolore un ruolo che non gli spetta: non è un oggetto, né un’entità antropomorfa; si tratta di un segnale. Allora ascoltiamolo, senza lasciargli residenza presso di noi.

Quando senti pulsare il dolore puoi dire: «Oggi sto male.»

Oppure: «Finora il dolore è grande.»

Lascia spazio al cambiamento e ricorda: non è il dolore a trasformarsi, sei tu che, ascoltandolo e agendo là dove ti indica di intervenire, puoi trasformarti.

È un dolore che non passerà mai

Commenta