Come trasformare il dolore
Dolore:
Sensazione spiacevole che affligge (etimo)
Qualunque sensazione soggettiva di sofferenza provocata da un male fisico; Patimento dell’animo, strazio, sofferenza morale (treccani)
Sensazione di sofferenza fisica, morale, spirituale (garzanti)
Esperienza sensoriale ed emotiva spiacevole associata a (o simile a quella associata a) un danno tissutale potenziale o in atto (wikipedia)
Il dolore NON si trasforma.
Come si fa a trasformare una sensazione spiacevole in una NON sensazione o in una sensazione piacevole?
Caspita… pretendere di trasformare il dolore è una violenza su se stessi, perché significa obbligarsi a non sentire più ciò che si sta avvertendo.
Il dolore NON si trasforma, si ascolta.
Quando ho male da qualche parte, se presto attenzione al segnale doloroso posso prendermi cura della parte lesa affinché guarisca. Quando la parte lesa è rimarginata, allora il dolore non pulsa più.
Non l’ho trasformato, ma l’ho usato per agire dove c’era bisogno.
Dato che noi siamo la storia che ci raccontiamo, se ci diciamo che abbiamo trasformato il dolore, o ce ne siamo presi cura (come fosse una persona!?) gli assegniamo un determinato ruolo nella nostra vicenda. Diventa un ‘esso’, oppure addirittura un ‘lui’, cioè un compagno o un nemico.
In realtà è un mezzo, necessario, utilissimo, indispensabile, capace di condurci verso il benessere: finché pulsa, dobbiamo risalire alla sua origine, medicare e prenderci cura di quella parte di noi.
A volte è più complesso, per esempio, quando accade che il dolore provenga dalla morte di qualcuno che amiamo, non è immediato risalire verso l’origine del male…
In genere quel dolore proviene dall’anima o dal cuore o dalla parte di noi che era legata a quella persona, in qualunque modo vogliate chiamarla.
Come ci si prende cura di qualcosa che non si vede?
Sono molti i modi per farlo… innanzitutto però occorre accorgersene e ammettere che in effetti è proprio di questo che abbiamo bisogno.
Come trasformare il dolore