Come si fa a superare un lutto?
Digito ‘lutto’ sulla barra di Google e scorro i risultati che emergono.
Scorro fino alla sezione “Altre persone vogliono sapere”
Quali sono le fasi del lutto?
Come si fa a superare un lutto?
– e apro –
L’unico modo per uscire da una situazione di perdita è accettarla e reagire. La cosa fondamentale di cui abbiamo bisogno è il tempo. Deve passare il tempo: il dolore non scomparirà ma si addolcirà e la vita, in un modo che oggi sembra impossibile, andrà avanti.
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Dobbiamo accettare, il tempo cambierà le cose.
Fin dal primo momento in cui mi sono addentrata in questo tema mi è stato chiaro che il problema principale delle persone in lutto è la cultura in cui sono immerse.
Perché dovrei sentirmi obbligata ad accettare la morte?
Come faccio ad accettare la morte in un paese in cui dalla nascita mi dicono che morire sia inaccettabile?
Quindi, così come ho dovuto imparare le tabelline – altrimenti sarai un’ignorante – devo accettare che il mio amore sia morto – altrimenti? Sono indegna? Faccio torto a chi? Perciò l’accettazione viene da un subdolo senso di colpa?
«Non importa. Lascia che il tempo passi e vedrai che tutto si aggiusta.»
Ma tutto cosa? Che cosa dici?
Partiamo dall’ABC.
Un lutto non si supera. Un lutto si attraversa perché un lutto non è un muro, ma un percorso.
Attraversare il lutto significa innanzitutto comprendere la finitudine: realizzare che l’essere umano è un vivente che ha un tempo limitato su questa terra. Non si tratta di ‘accettare’ un torto, si tratta di realizzare un fatto.
Attraversare il lutto significa anche riconoscere che l’essere umano è un essere sociale, dal tempo limitato, cioè lui esiste perché esiste in relazione a qualcun altro. Altrimenti non saprebbe dire di sé praticamente nulla. Quindi la sua identità si sviluppa nell’interazione col prossimo. Alcune persone in particolare rivestono un ruolo centrale nella sua vita e sono parte integrante della sua identità. Quando una di queste persone termina il suo tempo terreno (muore), l’identità del superstite risulta mutilata: si trova senza l’altro e soffre. Terribilmente. Perché improvvisamente non sa più chi è.
A questo punto può riconoscere quali sono le parti della sua identità che provengono da quella relazione e da essa sono state alimentate. Realizza che manca letteralmente ossigeno e forza vitale: infatti il dolore della mancanza pesa sul petto, fra i polmoni e il cuore. Quindi resta intorpidito, per un po’, anche un bel po’, non c’è un tempo fisso, ognuno ha il proprio.
Finché accade qualcosa.
Non accade perché il tempo è passato, accade perché nel tempo il dolente ha ripercorso centinaia, migliaia, milioni di volte la sua vita col morto e ha riorganizzato le sue esperienze. Ad un certo punto si è trovato persino a sorridere di alcuni ricordi, su altri ci ha pianto giorni interi, quindi ha imprecato, maledetto la vita e il suo essere ancora in vita ‘senza’ quella parte così importante della sua identità.
In questo modo si è preso cura di sé e della ferita che la morte ha lasciato.
Il dolore viene da lì: dalla mutilazione.
Prendendosi cura di sé e della sua ferita (non del dolore – che è un segnale del sistema nervoso alla mutilazione e non è il lascito del morto) nel tempo si sentirà meglio e potrà prendere in considerazione altri pensieri oltre alla fatica di sentirsi senza.
Può essere che riscopra il desiderio di sperimentare esperienze, perché in sé l’essere vivente ha un istinto verso la vita, lo notiamo quando si inalbera: lui vuole le cose come le vuole perché ancora le vuole, non ha smesso. Quindi desidera, ancora. E finché desidera… c’è anelito vitale.
A questo punto può realizzare che già per un buon lasso di tempo ha vissuto senza la persona che ha contribuito a renderlo ciò che è, quindi che è stato capace di ‘fare senza’.
Si può chiedere come abbia fatto: bene o male, in qualche modo ha fatto. Ed ecco che può scorgere quella nuova identità che è andato costituendosi senza il suo amato.
Dentro questa nuova identità c’è il patrimonio della passata, in cui resta l’impronta fondamentale di chi non c’è più.
Nessuno muore mai del tutto. Finché noi siamo in vita, i nostri morti esistono attraverso di noi, perché hanno partecipato alla nostra costituzione.
Quando l’essere umano si concede di realizzare che ha trovato modo di esprimersi persino ‘senza’ e che in questa espressione ha trovato parti di sé che prima non poteva vedere, perché non era passato attraverso la ricostruzione della sua identità, allora tornerà a respirare. Forse persino prima.
Ma mi chiedo: come può un processo tanto complesso, profondo e impegnativo essere sintetizzato in “Devi, dai tempo al tempo”.
Hai presente cos’è attraversare un lutto?
Ecco, evidentemente no.
Al centro del processo c’è l’umano che non DEVE fare niente, ma SCEGLIE di stare e stare e continuare a stare, lavorando intensamente per ritrovarsi oltre la morte.
Il dolore può scomparire. Perché se sei in pace con la tua finitudine, con la morte di chi non c’è più, con la ricostituzione della tua identità, quel vuoto è parte di te al punto da non provocare dolore.
Il dolore è un segnale: finché c’è dolore, il corpo ci dice che dobbiamo prestare attenzione a qualcosa.
A volte serve molto tempo affinché il dolore scompaia.
A volte il dolore non scompare perché la nostra cultura ci dice che scomparendo il dolore scompare anche il morto. Ebbene, non è così. Il morto non scomparirà MAI, essendo parte integrande dell’identità del vivo.
La vita non va avanti da sé: la vita avanza se vuoi che avanzi.
Altrimenti finisce, anche se tu continui a respirare.
Attraversare il lutto è un processo attivo, fatto di scelte e volontà.
Ma io che ne so, gli esperti sono loro, che ti vogliono passivo, dolente e obbligato a fartene una ragione.
Come si fa a superare un lutto?
Pubblicato per la prima volta l'8 marzo 2023