Per te è stato diverso: tu avevi già altri figli.
È capitato di sentirmelo dire molto spesso.
Come capitava di sentirmi chiedere a che epoca della gravidanza fossero avvenute le morti delle mie figlie, quale fosse il motivo, se poi avessi avuto altri figli.
Anche chi ha vissuto la morte del proprio bambino in epoca perinatale, ha bisogno di orientarsi nell’esperienza dell’altro e trovare i suoi sostegni per starci dentro. Anche chi conosce, domanda e talvolta si orienta come un elefante in una cristalleria.
Così avere già altri figli riduce l’entità della perdita: in fin dei conti un bambino in famiglia già c’è, come se ogni figlio non fosse una storia a sé.
È meno grave se la morte del bambino è avvenuta nelle prime settimane: in fin dei conti si sa che possa accadere, in fin dei conti non era ancora un bambino vero.
Se non c’è una causa, beh, si può riprovare senza tanti pensieri, come se non avere una ragione equivalesse a non correre più pericoli.
Se poi è nato un figlio vivo, beh, non è giunto l’arcobaleno? Tutto a posto dunque, si ha ottenuto la rivincita: uno a uno, palla al centro.
Quanto è difficile semplicemente «stare» nella storia dell’altro, senza domande, senza giudizi, senza rifletterci la propria, senza volerla rendere meglio di quel che è, senza pretendere di risolverla, senza dare soluzioni, senza consolare.
Solo «stare».
È difficilissimo. È un’arte. L’arte dell’ascolto.
Un’arte che a cui mi sto allenando da più di dieci anni e che non smetterò mai di imparare.
Non stupirti delle mie poche domande, non pensare che il mio silenzio sia scarsa partecipazione, non credere che le pause prive di frasi di circostanza avvengano perché non sappia cosa dire.
Ti sto ascoltando.
Lo sto facendo al massimo delle mie potenzialità. Ci sto mettendo le orecchie, gli occhi, la mente e il cuore.
Se siamo in presenza, può capitare che parta una mano a stringere il tuo braccio: avviene prima di considerare se possa farti piacere il tocco, so che non tutti gradiscono; mi viene istintivo farlo talvolta… quando la sola presenza non mi sembra che basti a farti sentire che ci sono.
Il mio intento è proprio esserci.
Non smetterò mai di imparare a «stare». Si tratta di una delle poche certezze che ho.
Se senti il desiderio di raccontare di te, del tuo bambino e del senso di vuoto che ha lasciato, io ti ascolto.