L’altra figlia, di Annie Ernaux – insignita del Premio Nobel per la letteratura nel 2022.
È una foto color seppia, ovale, incollata sul cartone ingiallito di un libretto, mostra un neonato di tre quarti seduto in equilibrio su cuscini decorati, sovrapposti. Ha indosso un camicino ricamato, chiuso da una sola asola a codoncino, ampio, con un fiocco fissato poco dietro la spalla, come un grosso fiore o le ali di una farfalla gigante. Un bebè magrolino, lungo lungo, con le gambe aperte, tese, che arrivano a toccare il piano del tavolo. (…)
Quando ero piccola credevo si trattasse di me, doveva avermelo detto qualcuno. Non sono io, sei tu. (…)
Secondo l’anagrafe sei mia sorella. (…)
Ma non sei mia sorella, non lo sei mai stata. (…)
Non ho alcun ricordo di te. Quando sono nata eri già morta da due anni e mezzo. Tu sei la figlia del cielo, la bambina invisibile di cui non si parlava mai, la grande assente da tutte le conversazioni. Il segreto. Sei sempre stata morta.
Così si apre la lunga lettera che Annie scrive a sua sorella morta di difterite a sei anni, due anni e mezzo prima della sua nascita.
Scopre della sua esistenza in una domenica estiva dei suoi dieci anni, quando la mamma racconta ad una giovane donna di aver avuto un’altra figlia, morta come una piccola santa. Ad Annie non avevano raccontato nulla di lei per non rattristarla.
La mamma termina la sua confidenza dicendo che la sua figlia morta era più buona di quella lì.
Quella lì era Annie.
Annie compie un percorso tra passato e presente, svelando i sentimenti emersi con quella rivelazione, rimasta un segreto, ingombrante, quanto la figura di questa sorella invisibile e adorata, da quel momento interposta fra i genitori e lei.
Reinterpreta la sua vita sotto la luce di quel segreto e si ricolloca come figlia mai stata unica, come invece aveva sempre creduto d’essere.
Bisognava dunque che tu morissi a sei anni affinché io potessi venire al mondo (…)
Annie descrive i suoi come genitori che hanno perso un figlio e la sorella morta, lì fra loro, invisibile personificazione del loro dolore.
Ammette che il silenzio sia stato una scelta capace di proteggerla, preservarla da quella venerazione che, con una crudeltà inconsapevole nei confronti dei vivi, che la indignava quando ne era testimone, circondava alcuni bambini morti: in alcune famiglie erano i più belli, o, come nella sua, i più buoni…
«Non rimprovero loro niente. I genitori di un figlio morto non sanno ciò che il loro dolore fa a quello vivo.»
Scrivere alla sorella è fare il giro della sua assenza, descrivere l’eredità d’assenza.
Ogni figlio ha un ruolo in famiglia: essere il primogenito non è come arrivare per secondo ed essere il secondogenito non è arrivare per terzo… Essere il fratello o la sorella di un figlio morto contiene in sé una certa eredità che si materializzerà a seconda del modo con cui i genitori affronteranno il loro lutto e gestiranno i diversi ruoli dei loro figli.
Annie Ernaux ci mostra in modo molto autentico la sua realtà, mettendo in luce come alcuni comportamenti, i silenzi o certe parole possano indirizzare l’intera esistenza di una famiglia e le scelte di vita del figlio superstite.
L’altra figlia è una lettura che suggerisco caldamente!