Alla morte non c’è rimedio, però…
«Il tuo lutto è fisiologico, il mio no.
Il mio è innaturale, perciò tu non puoi capire cosa sto provando.»
Quando a parlare è il dolore, escono fuori cose totalizzanti. Talvolta fastidiose. Si tratta delle verità percepite.
Perché la nostra realtà non è ‘vera’, cioè, non è universale, la stessa per tutti, ma è quella porzione che la nostra percezione è in grado di rilevare.
Ognuno di noi ‘vede’ ciò che i suoi sensi percepiscono, per come sono settati. Dopodiché interpreta.
Interpretiamo la realtà sulla base delle nostre ‘mappe’, cioè il modo in cui siamo stati abituati a pensare, giudicare, discriminare il percepito.
Alla base della nostra cultura c’è il singolo, che si costruisce un’idea di se stesso e del mondo, semplificando in opposti. Cresciamo con una visione duale della realtà: c’è il bene che posso rilevare in confronto al male; esistono la notte e il giorno; poi il bianco e il nero, e così via.
Dunque ci sono io che soffro, ma non mi riconosco nella tua sofferenza perché se soffrissi del tuo dolore troverei un appiglio, invece soffro del mio e l’appiglio non c’è.
L’appiglio potrebbe essere nella ‘fisiologia’ del tuo lutto, cioè, se fossero morti mia madre, mio padre, mio nonno o qualcuno del genere, allora potrei dire che ‘nella natura delle cose, va così’, ma visto che è morto mio figlio, beh, allora non mi posso dire altro che sia innaturale, perché la natura delle cose non va così.
Chi si sente dire che il suo lutto sia più facile perché ‘fisiologico’, si sente sminuito, se la prende e insacca.
Ecco la zuffa tra i lutti di serie A e di serie B.
Partiamo dal principio.
La morte è naturale SEMPRE.
La nostra cultura occidentale ha reso meno frequenti le morti in un certo periodo di vita, questo non significa che siano diventate innaturali. Ma si definiscono tali perché la percezione è che i figli debbano sopravvivere ai genitori e non il contrario.
Non è una regola. È una percezione, alla quale abbiamo assegnato un’etichetta errata, che ci inchioda lì.
Quali giri può fare il pensiero di fronte all’innaturalità?
Beh, nessuno.
Se è innaturale non esiste.
Però esiste, visto che esiste non può essere innaturale, non credi?
Quindi, i figli muoiono. Purtroppo.
E fa un male atroce.
Non più male di un altro dolore.
Fa quel male. Quello che senti tu.
Puoi definirlo ‘intollerabile’.
Cioè, adesso ti sembra di non tollerarlo. Però, tra un po’, potresti chiederti come fare per tollerarlo e potresti accorgerti di riuscire a spostare l’asticella della tolleranza… ad un certo punto, potresti incontrare la speranza di trovare un modo per tollerare un poco di più e scoprire la fiducia nelle tue capacità di stare anche dove non avresti immaginato.
Insomma, la realtà non è duale: quante persone fanno del bene e anche del male? Dipende… da come interpretiamo i loro gesti. Quante gradazioni di luce ci sono fra la notte, il giorno e viceversa? Quanti colori vediamo tra il bianco e il nero? Quanti non siamo in grado di vederne oltre il bianco e il nero? E quanti ce ne perdiamo sintetizzando in bianco e nero?
Il lutto fa male: tutto, sempre, in modi unici.
E quando proviamo dolore, cerchiamo scappatoie… perciò possiamo anche pensare che se fosse morto qualcun altro… allora quel dolore sarebbe stato più sopportabile. In quel momento preciso, possiamo stare meglio, perché ci immaginiamo di essere in un dolore meno penoso e i nostri sensi prendono fiato.
Quando a parlare è il dolore, escono fuori i tanti modi con cui cerchiamo riparo. Perché è intollerabile.
Non è cattiveria, piuttosto un tentativo di sopravvivenza.
Ma…
Se siamo consapevoli di tutto questo processo, possiamo provare a comprendere, avere pazienza, incontrarci nella moltitudine delle sfumature che ogni dolore porta e sentirci vicini.
Nessuno può riparare alla morte, però un abbraccio sincero può donare sollievo.
Alla morte non c’è rimedio, però…