Affrontare il lutto perinatale
Il 20 aprile 2023 si è tenuto un incontro organizzato organizzato da “Riflessi al tramonto – sguardi e orizzonti oltre la vita” e moderato dalla Dott.ssa Marianna Martini sul tema del lutto perinatale.
Questo appuntamento mi ha dato l’opportunità di raccontare la mia esperienza di lutto, approfondendo alcuni aspetti.
Partendo dal presupposto che noi siamo la storia che ci raccontiamo, fondamentale diventa l’uso delle parole con cui ci narriamo la nostra esperienza.
Il mondo delle persone in lutto perinatale è solito utilizzare parole che non aiutano il percorso che siamo chiamati ad intraprendere, durante l’incontro ne ho analizzate alcune.
Mai nati
Per esempio, i bambini nati morti, soprattutto nel primo periodo della gravidanza, ma talvolta anche sul finire, sono soliti essere definiti MAI NATI. Sono proprio le persone che patiscono questo lutto e alcuni operatori che hanno il compito di supportarli, persino le ostetriche, ad usare questa definizione. Si tratta di un modo di raccontare questo passaggio scollegato dalla realtà, infatti questi bambini nascono tutti, poiché escono dal grembo materno. Il verbo nascere significa appunto “Venire al mondo – uscire dal seno materno”.
Dolore perpetuo
Al dolore viene data una connotazione antropomorfa: esso sostituisce il figlio morto e resta come compagno di vita in eterno. Di lui ci si prende cura, come non si è potuto fare col figlio che non c’è più. Il dolore in realtà è un segnale che il nostro cervello ci invia perché prestiamo attenzione alla ferita che la nostra identità ha subito: dobbiamo prenderci cura di noi, affinché questa ferita possa cicatrizzare.
Innaturale
Spesso sentiamo definire questa come una morte innaturale. Eppure in natura esiste da sempre. Come può un fatto presente in natura da sempre essere considerato innaturale? E come può essere integrato qualcosa che si ritiene non poter esistere in natura? È necessario modificare il modo di descrive l’evento, per poter cambiare il punto di vista e consentire di scoprire strade che non siano cieche.
Paura della morte
La morte è percepita come un fallimento e rifuggita come qualcosa di spaventoso. Il nostro percorso terreno è scandito da due momenti fondamentali: il concepimento e la morte. Non ho memoria di aver avuto paura d’essere concepita e non ho motivo di pensare che qualcosa di naturale debba essere spaventoso. Perciò anche la morte può essere accolta con un sentimento diverso dalla paura, persino con curiosità. La morte non è un fallimento, bensì un passaggio.
Madre fallita
La nostra cultura considera madre solo la donna che partorisce vivi e sani i suoi figli. Quando un bambino muore, in grembo soprattutto, la madre ne è responsabile. Lei è definita colei che ha perso suo figlio, come se fosse una sbadata che lascia in giro figli. È detto che non sia riuscita ad avere un figlio, quando in realtà un figlio lo ha avuto: morto; e come se fossero in suo potere la vita e la morte dei suoi figli. La madre è descritta come una donna onnipotente. Quando si rivela umana, fallisce. Ecco da dove nascono il senso di colpa, la vergogna, la disistima. Questo modo di raccontare la donna ha origini antiche, pone le sue radici nella cultura patriarcale che da sempre teme e invidia il potere generativo della femmina. Delineati i contorni del fenomeno è possibile riscontrare uno schema ricorrente e rivalutare i sentimenti svilenti.
Essere madre
La madre è colei che si presta affinché il figlio possa compiere il suo passaggio al massimo delle sue potenzialità. Essere lì, accogliere, supportare, accettare, lasciare fluire quel che possiamo definire ‘destino’ del figlio, è infine il senso della maternità. I figli nati morti hanno potuto compiere il loro passaggio terreno grazie alle loro madri che li hanno portati in grembo anche oltre il loro ultimo istante.
Figli arcobaleno
I bambini sono tutti luce, anche quelli che sono morti, prima di morire sono stati luce. Ai bambini andrebbe riconosciuta la propria singolare identità, senza che debbano farsi carico di rendere felici i loro genitori o debbano riempire i loro vuoti. Essere figlio è già complesso, ma essere figlio in una famiglia dove vivono fantasmi e in cui il confronto si fa con chi non c’è, può essere molto complicato.
La storia delle famiglie in lutto
Le famiglie in lutto si raccontano spesso una storia che le inchioda nella sofferenza: il timore di dimenticare i figli morti è tale da restare inchiodati in quel dolore, affinché possa essere evidente che quei figli continuino ad avere un ruolo importante nella loro storia. Ricostituire la propria identità e vivere pienamente, nel benessere, è anch’essa dimostrazione che quella vita giunta e poi morta ha avuto il suo peso: è riuscita a farci cogliere ciò che prima non vedevamo. Ciò che cogliamo è portatore di bellezza e amore, che contagia chi ci è intorno.
La sepoltura
È stata che l’occasione per approfondire la questione legata alla sepoltura: la morte di un figlio arresta improvvisamente il movimento genitoriale, impedendo di fatto di impiegare quell’energia che già avevamo in serbo. Riversare questa energia nel compiere ritualità che da migliaia di anni scandiscono la conclusione dell’esistenza, offrendo a chi resta una serie di gesti codificati, attraverso i quali può scaricare quell’eccesso di moto altrimenti compresso, è molto importante.
Molto in sintesi questi sono i punti che abbiamo toccato: per approfondire ti suggerisco di vedere la registrazione dell’incontro.
Affrontare il lutto perinatale
Affrontare il lutto perinatale
Pubblicato per la prima volta il 21 aprile 2023